mercoledì 30 novembre 2016

Anna dai capelli rossi (1985)



Sono sempre stata una grande amante dei cartoni animati, un po' come tutti i bambini, e anche da adulta questa passione non è mai svanita; ancora oggi spesso ascolto le sigle dei miei cartoni preferiti e gioco a cantarle con mia sorella o con la mia carissima amica Melania.
E sempre quando ero bambina la mattina avevo i miei rituali in merito, e tra gli altri c'era quello di fare colazione guardando Anna dai capelli rossi.
Da tempo avevo intenzione di recuperare la mini serie canadese del 1985 e finalmente qualche giorno fa ci sono riuscita; come al solito ho trovato disponibilità solo per i sottotitoli in inglese, ma sono fattibilissimi, quindi non lasciatevi spaventare.
Cosa dire? Ho amato tutte e due le puntate che compongono questo piccolo gioiellino; ambientazioni perfette, attori perfetti e dialoghi perfetti; in più di un'occasione ho rivisto scene identiche al cartone (uscito giusto qualche anno prima rispetto la serie) e, potrà sembrare esagerato, ma mi sono addirittura commossa. In particolare quella che fin da bambina era la mia puntata preferita (pur non sapendo all'epoca a cosa s'ispirava), ovvero quando Anna cerca di mettere in scena il famoso racconto della Dama di Shalott.
Per tutta la serie si respira quest'atmosfera quasi onirica, ancestrale oserei dire, in grado di farti desiderare in un battibaleno di passeggiare per i campi sconfinati dell'isola del Principe Edoardo, in Canada; o di camminare sul bordo del tetto di una scuola per una sfida raccolta; o ancora di attraversare su di un calesse un campo di ciliegi, dando un nome ad ogni luogo magico che di lì a poco si attraverserà.
Ancora oggi mi rivedo tanto in Anna: l'essere sempre così chiacchierona, con tanto bisogno di amore e caratterizzata costantemente da questa necessità, quasi inconscia, di evadere attraverso i sogni e la fantasia.
Che dire, bellissima e consigliatissima!

                           





Ricordate la sigla del cartone animato?




venerdì 25 novembre 2016

Tag dedicato alla letteratura vittoriana.




Ho trovato, tempo fa, un tag molto carino dedicato alle letteratura vittoriana. Eccolo qui:



1 Qual è il primo libro vittoriano che hai letto?

Forse la risposta è un po' banale, ma si tratta di "Orgoglio e pregiudizio" di Jane Austen; insieme ad "Emma" sono i miei preferiti dell'autrice (so che risulta anacronistico, ma è talmente vicina a quegli anni Jane, che mi è inevitabile citarla).

2 Qual è il tuo romanzo vittoriano preferito?

Ne ho di diversi, in piena onestà, perché amo molto l'epoca vittoriana; se proprio dovessi scegliere direi sempre "Cime tempestose" di Emily Bronte.

3 Il tuo autore vittoriano preferito?

Anche qui potrei fare almeno cinque o sei nomi, ma rispondo Thomas Hardy.

4 Qual è la tua coppia vittoriana preferita? 

Sono profondamente legata a Catherine ed Heathcliff di "Cime tempestose", mi rivedo in entrambi: il mio passato in lui, il mio presente in lei e il mio futuro nel loro futuro.

5 Il tuo cattivo vittoriano preferito? 

Alec d'Urberville. Ho parteggiato per Angel dall'inizio alla fine, ma di Alec mi è piaciuta a tratti la sua passionalità, anche se delle volte eccessiva.

6 Un libro vittoriano che ti è piaciuto e in cui qualcuno muore?

Assolutamente "Villette" di Charlotte Bronte, ma d'altro canto sono fermamente convinta che non poteva esserci finale diverso.

7 Il più lungo romanzo vittoriano che hai letto?

Non saprei, forse se la giocano: "Villette", "Romola" e "Il mulino sulla Floss".

8 Un libro vittoriano, o un autore, che tu hai amato ma che senti sia sottovalutato? 

Ci tengo a nominare un libro che non è stato scritto nell'800, ma che è ambientato in maniera superlativa durante l'età vittoriana: "La donna del tenente francese" di John Fowles, questo è uno dei miei libri preferiti e francamente non conosco molte persone che lo hanno letto; lo vedo poco in giro anche sui social, e siccome l'ho amato moltissimo non posso non consigliarlo.

9 La più bella edizione in cui possiedi i tuoi romanzi vittoriani?

Dipende molto dalla copertina, sarà sciocco ma ci tengo particolarmente. In ogni caso prediligo la Fazi, l'Oscar Mondadori e la Bur.

10 Infine, tre libri vittoriani che ancora non hai letto, ma che desideri leggere al più presto.

Ne ho un'infinità in libreria, perché compro in maniera compulsiva, ma dovendo dare solo tre titoli: "La donna in bianco", "Nord e Sud" e "Il professore".



martedì 22 novembre 2016

Julia Margaret Cameron - Fotografa preraffaellita.

Ho sempre amato fare foto fin da quando ero piccola, logicamente senza alcun tipo di pretesa, difatti ho sempre avuto macchine fotografiche economiche, che mi servivano a catturare tutti quei momenti felici che passavo con le amiche o in estate al mare; nessuna preparazione alla base, nessuna tecnica o studio specifico, soltanto un forte desiderio di bloccare quei momenti e poterli conservare per sempre. Poi tra i 19 e i 20 anni, un po' per caso e un po' per gioco, sono entrata a far parte del piccolo mondo della "moda" (uso le virgolette perché la Moda con la lettera maiuscola è ben altra, quella milanese ed internazionale per intenderci, mentre io ho sempre e solo lavorato tra Napoli, la mia città, e Roma) e ho scoperto come attraverso l'obiettivo potevo reinventare ogni volta me stessa.
Posare è un po' come recitare, e nonostante io non avessi esperienza pian piano ho imparato a gestire la timidezza e a sfruttare questi momenti per essere quello che di volta in volta desideravo essere: una bambola, una musa, una sirena o una regina.
Quest'esperienza è durata solo tre anni, sapevo che prima o poi sarebbe finita e che un punto l'avrei messo proprio io; dentro di me ho sempre saputo che non era quello che volevo fare in futuro, era solo un momento della mia vita che mi sarebbe servito a superare complessi ed insicurezze (anche se ahimè, ad oggi non credo di esserne completamente scevra). 
Ma la fotografia non mi ha comunque abbandonata, perché poi si è presentata a me sotto forma dell'amore: il mio fidanzato, Marco, che è un grande appassionato (lui si che usa macchine fotografiche costose e professionali) e che mi ritrae in fantastici scatti ogni qual volta giriamo il mondo o la nostra splendida regione. 
Tutto questo per dire che la fotografia, un po' per caso e un po' per scelta, ha sempre fatto parte della mia vita; ed è così che diversi anni fa ho "incontrato" Julia Margaret Cameron.




Julia Margaret Cameron nacque l'11 giugno del 1815 a Calcutta, da un ufficiale del Servizio Civile del Bengala, James Pattle, e della francese Adeline de l'Etang, figlia del cavaliere Antoine de l'Etang che in passato aveva servito in qualità di paggio la regina Maria Antonietta.
Il padre di Julia era un uomo alquanto discutibile, con una reputazione non proprio rispettabile e a cui sono legate bizzarre leggende proprio in virtù del suo temperamento; Adeline, invece, apparteneva non solo ad una famiglia aristocratica, ma vantava anche di essere una delle donne più belle del suo tempo. 
Julia indubbiamente ereditò una spiccata vitalità dalla figura paterna e un indiscutibile amore per il bello da quella materna; dopo essersi sposata con Charles Hay Cameron si trasferì a Londra, dove cominciò a frequentare personaggi di spicco del fervente panorama culturale dell'epoca: Mr. Watts, Burne-Jones, Ruskin, e altri. Ecco come la descrive Mrs. Watts:. 


" Sembrava racchiudere in se tutte le qualità di una famiglia straordinaria, ma in una forma duplicata. Era due volte più generosa della più generosa fra le sue sorelle, e due volte più impulsiva della più impulsiva. Se loro erano appassionate, lei lo era doppiamente e se loro erano convincenti, lei era irresistibile. Aveva occhi straordinariamente belli, che brillavano come le sue parole, e che diventavano dolci e gentili quando era commossa. "



In effetti Julia doveva essere un personaggio molto stravagante per l'epoca; era apertamente contraria alla morale vittoriana così retrograda e ricca di tabù; amava passare il suo tempo sempre in compagnia e non si sarebbe risparmiata alcuna stranezza pur di favorire la permanenza di qualche suo ospite, così da goderne di più la compagnia. 
Dispensava regali e adottava bambini che accoglieva in casa sua a braccia aperte, come la figlia di una mendicante irlandese del quartiere che mandò a scuola insieme ai propri figli, assicurandole un futuro sicuro. Di lei si diceva che fosse caratterizzata non solo da una profonda generosità, ma da "una capacità di amare che nessuno ha mai superato, e una pari determinazione a farsi amare". 
Nel 1865, raggiunti ormai i 50 anni, il figlio le regalò la sua prima macchina fotografica, e da quel momento Julia trovò la sua dimensione. 
Come si sa, molto influì la corrente preraffaellita sui lavori della fotografa; siamo in una Londra in cui alcuni pittori, alcuni letterati, non fanno altro che cercare di provare a raggiungere un concetto di bellezza ancestrale e pura; anni in cui viene rivalutato il Medioevo (con tutte le sue contraddizioni), a cui si cerca di aspirare in opposizione alla sempre più industrializzata e meccanica Inghilterra, un modo insomma per tornare a quella che nella mente di questi intellettuali era l'ordine e la pace. 
Julia è imbevuta di tutto ciò, lo dimostrano proprio i suoi scatti, dove il sacro si fonde con il profano e dove le antiche leggende arturiane hanno un ruolo non poco rilevante, vera manifestazione di quell'atmosfera onirica che si respira attraverso le sue foto. Stesso Julia disse:


"Desideravo fermare la bellezza che mi passava davanti e, a lungo andare,
 il mio desiderio è stato esaudito."


Nel 1875 la famiglia Cameron tornò in India, e non mi è difficile provare ad immaginare Julia, che come di sua abitudine, e come riportano le testimonianze di chi l'ha conosciuta, mescolando il suo tè mentre cammina, accompagna i suoi sempre amati ospiti verso la prossima nave di ritorno per l'Inghilterra.
Julia Margaret Cameron morì il 26 gennaio del 1879, sbiadendo, come nelle sue foto, in un leggero fuori fuoco. 
Di seguito, alcune delle mie foto preferite tratte dal suo portfolio.




(Saffo)


(Giardino delle ragazze in fiore)


(Ginevra e Lancillotto)



 Ma l'articolo non finisce qui! 
Come sempre provo ad allegare a questi piccoli scritti anche altro.
Non è un mistero purtroppo che sia nelle librerie sia su internet è difficile trovare, in italiano, un testo che tratti di Julia Margaret Cameron, ma qualcosina esce sempre fuori; quindi volevo consigliare questa piccola quanto deliziosa monografia: "Fotografie vittoriane di uomini famosi e donne affascinanti" a cura di Virginia Woolf e Roger Fry. 
E ancora un piccolo documentario (sottotitolato) reperibile su youtube che allego qui sotto.
Quasi dimenticavo, girovagando su amazon ho poi trovato un libro, pubblicato dalla Neri Pozza, intitolato "Luce proibita", di David Rocklin; una storia che trae spunto proprio dalla figura di Julia e dalla sua vita. Le recensioni non sono molto positive, ma essendo per natura curiosa credo che lo recupererò quanto prima.







lunedì 21 novembre 2016

Un libro e un film.






Durante quest'ultima settimana ho letto "Dialoghi con Leucò" di Cesare Pavese, non ne sono rimasta molto entusiasta, ma credo che l'errore sia stato quello di cominciare con questo testo per approcciare all'autore.
Va specificato che non sono mai stata una grande amante della letteratura italiana, a differenza dei miei genitori che ne sono davvero appassionati, e una lettura come questa, tra il racconto e il dialogo filosofico, non la trovo d'immediata recezione; non che sia difficile, assolutamente, ma prediligo personalmente letture più dirette.
Il mio è dunque un giudizio molto soggettivo, che niente ha a che vedere con la validità del testo.. mi andava semplicemente di dire la mia a riguardo. 






Sempre in questi giorni ho visto un film davvero molto bello: "The young Victoria" del 2009.
In verità ne ero a conoscenza già dalla sua uscita, ma non avevo mai avuto modo di visionarlo (Dio solo sa quanti film ho da recuperare), fino a ieri quando mi sono finalmente decisa.
Che dire, io amo profondamente la figura della regina Vittoria, sarà che dà nome ad una dell'epoche che più amo in assoluto, ma è uno di quei personaggi femminili a cui mi sento in qualche modo legata. Nel film è interpretata da Emily Blunt, un'attrice che in piena onestà mi è alquanto indifferente, ma che ho trovato davvero idonea per questo ruolo. Viene analizzata soprattutto la prima parte della vita di questa regina, inizialmente pedina nelle mani di personaggi più maturi e sfrontatamente ambiziosi, e poi, in seguito, fanciulla in crescita che facilmente incorre nell'errore, ma che da questo impara uscendone più forte. 
Confesso che il finale mi ha molto commosso, soprattutto quando si ricorda quanto Vittoria avesse amato il marito, e di come quest'ultimo avesse sempre e fedelmente amato lei. Un sentimento non poi così banale o scontato se si pensa che all'epoca i matrimoni erano ancora frutto di velate mosse politiche. 
Per concludere ho trovato questo film molto accurato sotto il profilo storico, non ho riscontrato imprecisioni eclatanti; indubbiamente qualche parte sarà stata leggermente romanzata per aumentarne il pathos, ma personalmente non sono così categorica ed insofferente. Quando guardo un film ho come unico desiderio quello di passare del tempo piacevole e volare con la mente altrove, non cerco di "sventrarlo" come se stessi studiando un testo di storia del cinema per l'università, quindi lo consiglio caldamente. 


sabato 19 novembre 2016

La storia di Anna Brewster Morgan.

Chi mi conosce sa che quando mi rilasso, se non leggo o non ascolto musica, faccio ricerche. Ebbene si, ricerche online su tutto quello che mi piace o che di curioso mi potrebbe interessare; e proprio durante uno di questi momenti sono incappata per puro caso nella storia di Anna Brewster Morgan.



Anna Brewster nacque il 10 dicembre del 1844 ad Atlantic City (America), in una famiglia di avvocati, ultima di quattro figli. Dopo aver passato la sua vita, fin dall'età di cinque anni, in giro per famiglie che l'accolsero provvedendo alle sue necessità e alla sua educazione, si trasferì dal fratello Daniel in Kansas. Questa convivenza durò fino a quando Anna, all'età di diciannove anni, si sposò con James Morgan, il 13 dicembre del 1868. (La donna, che lavorava come maestra di scuola, viene descritta dalle fonti dell'epoca come molto bella: capelli biondi, occhi azzurri e una delicata pelle bianca.)
Appena un mese dopo le nozze, e più precisamente il 3 ottobre del 1868, accadde però un avvenimento che determinò tutta la vita della giovane: il marito, che quel giorno si trovava a lavorare nei campi a qualche miglio di distanza dalla fattoria, venne improvvisamente attaccato da una banda di indiani Sioux. James riuscì a fuggire, ma nel mentre i suoi cavalli imbizzarriti tornarono alla casa coloniale, dove Anna allarmata decise di uscire per mettersi sulle tracce del marito.
Purtroppo però fu avvistata dagli indiani, che appostati dietro ad una folta vegetazione le tesero una piccola imboscata; la donna dunque fu catturata, brutalmente violentata e condotta al loro accampamento come schiava.
Non molto tempo dopo, la giovane venne ceduta ad un'altra tribù locale, quella dei Cheyenne, che in precedenza aveva rapito la signorina Sarah White. Quest'incontro scosse molto l'animo di Anna che da quel momento in poi cominciò a reagire, manifestando fin da subito un forte carattere.
Difatti la ragazza resistette in tutti i modi possibili ed immaginabili ai Cheyenne, acquistando ben presto un forte rispetto presso tutta la tribù, tanto che uno dei capi le propose di diventare sua moglie.
Anna accettò la proposta sia perché questo le avrebbe reso la vita molto più facile e sia perché, nel frattempo, si era innamorata dell'indiano. Infatti non molto tempo dopo, la giovane rimase incinta.
In tutto questo, appena dopo la scomparsa della nostra protagonista il marito aveva provveduto a formare una squadra di soccorso, che a lungo provò a salvare le due donne, fino a quando durante uno scontro con i Cheyenne non riuscirono a catturare alcuni dei capi, tra cui anche l'ormai marito di Anna.
La questione fu sbrigata in poco tempo, o si restituivano le donne o avrebbero impiccato i prigionieri; dunque la tribù decise di lasciarle libere, e Anna poté tornare dal marito, il 22 marzo del 1869.
La coppia, in ogni caso, non era destinata ad essere felice; la donna infatti diede alla luce il piccolo Ira, figlio del suo amante indiano, a cui lei era profondamente legata (era solita ripetere come assomigliasse al padre), e che purtroppo morì alla tenera età di due anni.
A nulla valse l'arrivo di altri due bambini, questa volta avuti da James; Anna decise di chiedere il divorzio e tornò a vivere a casa di suo fratello.
La donna fu molto criticata dalla società del tempo per aver scelto di portare in grembo il figlio di un nativo americano e questo le comportò una sorta di vera e propria emarginazione. Un suo conoscente riferì che spesso era solita ripetere come più volte avesse desiderato di non essere stata mai ritrovata.
Finì i suoi giorni in un ospedale psichiatrico dove morì all'età di cinquantasette anni, l'11 giugno del 1902. Il suo corpo si trova nel cimitero di Delphos, accanto alla tomba del suo amatissimo bambino Ira.



(La tomba di Anna con accanto quella del piccolo Ira)


Questa storia struggente è stata utilizzata per una film televisivo del 1997 (Stolen Women: Captured Hearts), che personalmente consiglio (anche se ahimè, reperibile solo in inglese). Il finale è molto diverso dalla realtà dei fatti, ma non per questo da criticare; anzi, l'ho trovato bellissimo (tanto da commuovermi), perché in qualche modo è come se avesse mostrato l'ultimo grande sogno di Anna: ovvero ricongiungersi con il suo capo indiano, che per paura della società del tempo o, peggio ancora, di quella che era stata la sua possibile fine, la giovane non aveva avuto il coraggio di cercare.




(Una scena del film)

venerdì 18 novembre 2016

Sei domande libresche per conoscermi come lettrice.





1  Ti piace farti consigliare libri dagli amici?

Generalmente si, ma confesso che in tal senso amo profondamente il ruolo da "cacciatrice"; adoro scovare libri poco conosciuti ed interessanti prima di chiunque altro (soprattutto se appartenenti ai miei generi letterari preferiti), poi automaticamente condivido la scoperta.


2  I tuoi libri preferiti?

Al momento sono: Ivanhoe di Walter Scott, Cime tempestose di Emily Bronte, Tess dei d'Urbervilles di Thomas Hardy, La donna del tenente francese di John Fowles, Orlando di Virginia Woolf, Pamela di Samuel Richardson e Picnic ad Hanging rock di Joan Lindsay. 


3  Il libro della tua infanzia?

L'Odissea formato bambini.


4  Libri che proprio non ti sono piaciuti?

Ce ne sono stati tanti in quasi vent'anni di letture, ma se dovessi riferirmi a quelli letti ultimamente e di cui il ricordo è ancora abbastanza vivo direi: Il giovane Holden di Salinger, Eugenie Grandet di Balzac e Bestiario di Cortazar. 


5  Il tuo genere letterario preferito?

Ne ho di diversi. Amo molto i classici, i romanzi storici, i fantasy e le biografie (soprattutto di personaggi femminili appartenenti alla storia, in quanto fervente femminista); leggo con molto piacere anche la poesia.


6 Il genere letterario che invece più odi?

Dipende, non amo particolarmente la letteratura contemporanea, i gialli, i thriller o gli horror; stesso discorso per letture di stampo psicologico/filosofico, letture politiche o religiose; non riesco ad apprezzare i racconti. Ciò non toglie che ci possono sempre essere dell'eccezioni. 




lunedì 14 novembre 2016

Justine - De Sade #consiglidilettura



Premessa: quando un anno fa ho acquistato questo libro sapevo verso cosa andavo incontro. Difatti credo sia alquanto improbabile che non si conosca, almeno per fama, il "divin marchese"..un concentrato di follia, erudizione e stravaganza senza uguali. 
Ma andiamo per ordine.. Justine è considerato da molti il suo vero capolavoro, oltre che uno dei manifesti della letteratura erotica. La vicenda ruota tutta intorno alle continue e rocambolesche disavventure di questa giovane, che dopo esser diventata orfana, perde le tracce della sorella (ormai unica parente in vita) fino a diventare una facile preda per delinquenti, uomini dissoluti e privi di qualsiasi sentimento di pietà. 
Innanzitutto ci tengo a spendere due parole rispetto alla prosa e il lessico dell'autore, credo infatti che questo meriti qualche attenzione in quanto, se confrontato con altri libri letti ed appartenenti a questo genere, l'ho trovato molto gradevole, seppur utilizzato per raccontare le più disarmanti nefandezze (oserei dire al limite del "fantascientifico"). Personalmente non amo i linguaggi crudi e volgari, giustificati dal secolo moderno, della letteratura erotica contemporanea.. preferisco di gran lunga un lessico più curato ed articolato come quello di De Sade, che comunque nell'utilizzarlo è molto bravo nel dare "prima la carota e poi il bastone", facendo si che anche le parti più cruente abbiano un effetto diverso sul lettore (anche se come è logico sottolineare il tutto è sempre molto soggettivo). 
Come ben si sa, uno dei compiti della letteratura erotica è quello di stuzzicare la fantasia del lettore.. ma nonostante (forse) in qualche episodio il marchese ci riesca, per il resto è talmente una sequela di atti improponibili ed inqualificabili che sorge spontaneo esserne o inorriditi o (come nel mio caso) addirittura divertiti..mi spiego.
Dopo essermi precedentemente documentata sulla storia dello scrittore ho logicamente sviluppato una mia idea in merito alla sua persona, poi confermata a seguito della lettura di Justine. Sono fermamente convinta che De Sade non fosse poi così malato di mente come, a suo tempo, si voleva far credere. Indubbiamente abbiamo di fronte un uomo interessato da un evidente stato di repressione sessuale e non per questo privo di una forte carica erotica in grado di accattivare qualche fanciulla del suo tempo, ma la mia opinione verte più su di un possibile forte sentimento di protagonismo dello scrittore, che consapevole della fama da "maledetto" che si era conquistato (senza alcun sforzo).. a mio modestissimo avviso ci marciava un po' su. 
Ricordiamo che il nostro protagonista era di famiglia nobile e vantava prestigiosissime parentele oltretutto.. questo sicuramente contribuì ad infondere sicurezza nell'animo del libertino, che a differenza di un qualunque poveraccio a suo posto incarcerato e giustiziato, poteva starsene rintanato, con qualunque confort all'interno di un manicomio, continuando a scrivere i suoi testi licenziosi con addosso la maschera del pazzo di turno.
Indubbiamente la sua produzione risente molto del contesto sociale in cui visse, infatti si troveranno facilmente in errore tutti coloro che penseranno di trovare solo sconcerie all'interno di Justine. Non poche sono le riflessioni a cui il marchese si dedica rispetto ad importanti tematiche.. soprattutto quella religiosa. De Sade era esplicitamente ateo e attraverso i suoi libri tentava con tutti i mezzi possibili di provare al lettore come fosse controproducente la cieca e profonda fede verso un Dio assente nel momento del bisogno. Molti sono poi gli approfondimenti rispetto all'esistenza del piacere e di come questo debba esser vissuto come un elemento ineludibile della vita umana.. tanto lo scrittore è convinto della sua posizione da addirittura liberarsi ad una completa e trasparente derisione dei suoi lettori alla fine del testo, che ovviamente non sto qui a svelare, ma che lascerà davvero chiunque si appresti a leggere quest'opera con un sorrisino sulle labbra ed un unico pensiero: "non cambierà mai"..quasi come se si stesse pensando all'ultima monelleria di un nostro cuginetto. 
Justine non è una lettura per tutti. Sicuramente ci sono persone che rimarrebbero profondamente scosse da ciò che di disumano la mente del marchese ha spesso partorito, tuttalpiù che di violenza gratuita non si fa spreco. Bisogna approcciare ad un testo simile soltanto se non si è fortemente sensibili e se innanzitutto ci si è informati.. proprio per non avere spiacevoli sorprese o peggio..rimorsi. 
Detto questo, concludo consigliando un film ispirato a De Sade (in particolare agli ultimi anni che condusse nel manicomio di Charenton), con nella sua parte un Geoffrey Rush fantastico: "Quills - La penna dello scandalo". Un film logicamente, anche se in parte, romanzato.. ma che vale la pena di guardare per la favolosa interpretazione poc'anzi citata. 









domenica 13 novembre 2016

Perchè Anima Antica.



Da che ho memoria, ho sempre avvertito la necessità di costruire un mondo immaginario in cui vivere. Ho cominciato intorno ai sei anni, probabilmente grazie alla mia precoce attitudine nei confronti della lettura. Crescendo sono poi diventata particolarmente brava e come una vera strega ho perfezionato sempre di più questo mio prezioso potere. Non ho una formula magica che mi permette di accedere a questo “mondo”.. ho semplicemente la mia mente, e probabilmente come già si sa..la "mente, mente", ma per me questo non è mai stato un serio problema. Questo “posto” quando ero piccola non era molto elaborato, anzi oserei dire che aveva sempre le stesse caratteristiche..poi pian piano e con il passare degli anni si aggiungeva qualcosa di nuovo. Una parete,un mobile,un personaggio..fino a nuove porte e quindi nuovi mondi. Oggi sono in grado di scivolare dall’uno all’altro senza grosse difficoltà..caso mai con l’ausilio della musica che mi fa d’accompagnatrice. 
Ho come la costante consapevolezza di vivere in un'epoca, in un contesto culturale e sociale a cui non sento di appartenere. E nell’effettivo i miei mondi sono sempre ed indiscutibilmente ispirati ad un passato antico e remoto. Ma pensandoci bene non potrebbe essere diversamente. 
Sono in grado di piangere, di ridere e di amare durante questi momenti e sono in grado di provare mancanza..una straziante mancanza..degli stessi. 
Quindi mi ritengo un Anima Antica perchè la mia anima (perdonate la ripetizione) vive una continua ed incessante nostalgia di quei luoghi lontani e passati. Luoghi nei quali mi rintano ogni giorno e nei quali so che mi rifugerò per sempre.